La censura, come design della forma-mentis
Prendiamoci quindi un po’ di tempo e facciamo un altro viaggetto tra le nuvole, forse è proprio il caso di dir così o meglio, siccome tratterò di censura, direi oltre le nuvole, oltre quello che non deve esser visto.
Niente dissertazioni astratte però, sarà un modo per penetrare ancora più a fondo le ragioni (quelle nascoste) che animano il design, da intendersi non solo come arte concreta, creatrice di nuove forme, ma anche come arte concretabile, in grado di creare nuove “forma-mentis”.
Non è illusorio sostenere come la realtà che ci sta attorno influenzi il nostro modo di vivere, di pensare, in poche parole, ogni novità alla quale ci esponiamo è capace di dar nuova forma alla nostra mente, in maniera impercettibile o macroscopica, comunque nuova.
In estrema sintesi, quel che vediamo, come quel che non vediamo, è potenzialmente capace di modificare (o semplicemente farci scoprire) quel che siamo.
Sempre design è. Cambiano gli strumenti, alla creatività si sostituiscono gomme da cancellare e veli sotto cui celare. Nuove forme vengono modificate ad arte, oscurando parte, mettendo in luce altre parti; oppure chiudendole in un cassetto o peggio, bruciandole in un rogo.
Nelle Religioni
Chi le definì “oppio dei popoli”
Spiegato il perché, passiamo a “scoprire”, è proprio il caso di dirlo, come la censura s’è mossa dall’alba dei tempi ad oggi, orientando la morale, la sensibilità, i valori stessi del genere umano e la sua percezione della realtà, fino a giustificare e render quotidiani incarcerazioni per libero pensiero, omicidi se non guerre mosse al fine di celare una cultura sovrapponendogliene un’altra.
La censura è sempre stata appannaggio dei poteri dominanti che hanno scandito le epoche della storia umana, da intendere non solo a livello globale, ma nel loro piccolo anche all’interno delle realtà locali, finanche domestiche, attenzione.
Fu così per la chiesa cattolica che passò da perseguitata a perseguitante una volta acquisito il potere temporale. Al tempo degli dei pagani la religione cristiana veniva occultata a avversata per i caratteri rivoluzionari che questa introduceva, anzitutto accordando venerabilità solo a Dio e non più all’imperatore. Atto considerato alla stregua del misconoscimento dell’autorità imperiale e quindi dell’ordine costituito. Non è un caso che Gesù, secondo il credo cattolico profeta e Figlio di Dio, venga crocifisso, condanna a morte riservata ai fomentatori di rivolte.
Una volta acquisita posizione dominante, i cristiani adoperarono la censura in maniera ben più efficacie dei propri, precedenti, carnefici. Anzitutto, va ricordato come all’interno della Bibbia, per quel che pertiene i cristiani, i 27 libri che compongono il Nuovo Testamento sono stati scelti in maniera arbitraria, altri, in maniera altrettanto arbitraria, sono stati esclusi. Tutto ciò per conferire omogeneità e coerenza alla dottrina costituita, dettata agli uomini e diffusa al mondo proprio attraverso le scritture bibliche, strenuamente difese nei secoli dagli attacchi della scienza e del relativismo.
La censura cattolica seguitò nei secoli fino al 1966. In quell’anno Paolo VI abolì il cosiddetto “Index Librorum Prohibitorum”, istituito nel 1559, che raccoglieva l’elenco dei libri dei quali era fatto divieto ai cristiani di leggere ed anche solo possedere. Si arrivò persino a disporre di mandare al rogo tutte le bibbie scritte in lingua volgare, così da rimettere gli insegnamenti biblici alla sola interpretazione dogmatica del clero: L’uomo discendeva da Dio ed era fuggito dall’Eden, il sole continuava a girare intorno alla Terra, creata in 6 giorni al centro dell’Universo; di Galileo e Darwin nessuno doveva parlare, guai poi a nominare il Big Bang.
Nella Società
Arrivando sino alla famiglia
Allo stesso modo va trattata la censura che il mondo islamico ed in maniera ormai sfumata anche quello occidentale fanno della donna, della sua persona, del suo corpo (leggi infibulazione) e del suo ruolo all’interno della società. Potenza della censura, e dell’ordine costituito dagli uomini più che dalle religioni in questo caso, al fine di preservare la convinzione (forma mentis) della supremazia, del sesso forte, ed i privilegi ad esso annessi.
L’esistenza stessa di un ministero delle pari opportunità, della questione quote rosa, parlando dell’Italia, rendono l’idea di come la figura della donna necessiti ancora di simili istituzioni per resistere alla censura maschile. All’interno delle stesse famiglie, non solo italiane, è ancora largamente diffuso il patriarcato, secondo il quale all’uomo spetta il lavoro, alla donna il compito di crescere i figli ed esaudire le richieste del marito.
L’educazione stessa della prole, in fondo, è proprio un mostrare quel che si ritiene giusto e celare, reprime, quel che si ritiene sbagliato. Non è certo un caso che, un brusco rivolgimento dei costumi, sopratutto in temi di morale religiosa, abbia portato alla crisi del patriarcato e quindi reso il legame familiare molto meno rigido, solido.
“La Mafia non esiste”, quante volte riecheggia sui dolci declivi della Sicilia questa frase odiosa? Troppe, ed anche nel presente meno lontano. A proferirla ministri, sindaci, consiglieri, professori e professionisti, giornalisti, fino a cittadini qualunque, cittadini come chiunque altro di noi.
L’organizzazione mafiosa, in Sicilia, esiste fin dal 1860, nasce con la cacciata dei Borboni ed il progressivo disinteresse della monarchia italiana verso il meridione, ma acquista considerazione e risalto mediatico solo nel 1982, quando l’omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, allora prefetto di Palermo, rende l’Italia consapevole che la questione mafiosa non riguarda più solo la Sicilia, ma lo Stato intero.
Cambia il modo di vederla ed intenderla, è una ribellione all’ordine costituito, quindi va combattuta, e per combatterla le viene riconosciuta non solo forma ma le si da’ anche un nome tutto suo “Cosa Nostra”.
In Sicilia arriva l’esercito, con 122 anni di ritardo, un ritardo del quale colpevole è la censura di chi, con la mafia, s’è arricchito per tutti e 122 gli anni di sua “inesistenza”.
La Politica
Depressione carsica […]anche fossa comune per occultare cadaveri di vittime di eventi bellici
Questa la fin troppo generica definizione data dal Dizionario “De Mauro” al termine foiba. Luogo dove trovarono la morte centinaia di italiani del nord-est, vittime della pulizia etnica operata dalle milizie comuniste Iugoslave. Nei libri di storia solo qualche accenno, sbadato. È che le forze politiche italiane alle quali spettò l’arduo compito di risollevare la nazione, reduce dalla sciagurata guerra nella quale la condusse Mussolini, pur di contrastare il risorgere reazionario dell’ideologia fascista – anticomunista, occultarono le pieghe più oscure della resistenza italiana dando luce solamente alle virtù rosse ed alle colpe nere.
Solo nel 2005, a restaurazione fascista ormai impossibile, lo Stato italiano riconobbe ufficialmente gli eccidi dei propri connazionali, ed istituì il 10 febbraio come giornata nazionale del ricordo per le vittime delle foibe.
Di situazioni simili ne è piena la storia. Ad Hitler serviva, ad esempio, un nemico comune contro il quale unire, al suo fianco, l’intera Germania. Scelse gli ebrei (adesso magari sceglierebbe i turchi per chi conosce la realtà sociale tedesca), assecondandone l’intolleranza latente del popolo, e trovò nel Protocollo dei Savi di Sion, appositamente tradotto in tedesco, il fondamento storiografico e quindi l’approvazione delle masse. Peccato solo che, tale documento, nel quale veniva propugnata la tesi di una cospirazione ordita dal popolo ebreo con l’intento di impossessarsi del mondo, era stata smentita, e comprovata esser priva di fondamenti razionali, vent’anni prima, sulle pagine del Times di Londra. Ma il Times non si legge in tedesco, ed i tedeschi ne restano all’oscuro.
Memorabile poi, l’editto col quale Napoleone, ai tempi della sua discesa in Italia, proibì che le salme dei massimi esponenti della cultura e della storia italiana, trovassero sepoltura difforme da quella dei semplici cittadini; privandoli persino del nome sulla lapide. Il tutto, per affossare, insieme ai defunti protagonisti, l’amor patrio di una nazione che da lì a poco avrebbe reclamato la propria unità ed indipendenza.
Nell’Informazione
“quest’edizione del Telegiornale andrà in onda in forma ridotta..”
Lo dicono sempre meno spesso, ma è sempre così. Vale per i rotocalchi televisivi come per quelli cartacei che ne sono antesignani. Spazio per le storie che straziano il cuore delle nostre città «investito da una macchina..», «uccisa dal marito…», «rapito il piccolo..», «il branco violenta…». Ed il resto?
Porto un esempio, nel 2006 a Gravina di Puglia scompaiono due fratellini, i loro corpi verranno trovati due anni dopo, sul fondo di una cisterna, privi di vita. Ad ucciderli, ed è il particolare a commuovere di più l’opinione pubblica, sono stati il freddo e la fame. La notizia della morte riempie tutti i notiziari, le vengono dedicati approfondimenti, dossier, inchieste psicologiche. Tutta la nazione e non solo, anche l’Europa, guarda sgomenta la tragedia di questi due bambini. Nella sola Africa, al giorno, muoiono 26.000 bambini, vite che si spengono soffocate dal freddo, dalla fame, da malattie curabili.
Certe immagini non passano, certe storie non arrivano nei paesi del “bengodi”, perché? Forse la ragione si spiega aggiungendo a questa foto, vincitrice del Pulitzer 1994, la storia dell’autore, Kevin Carter, che dopo averla scattata entrò in depressione e tre mesi dopo si tolse la vita.
Della vita, invece, vengono privati giorno dopo giorno i lavoratori del petrolchimico di Gela (Sicilia, Provincia di Caltanissetta), città dove ASL e magistratura cercano da tempo la spiegazione al perché, nelle zone limitrofe alla raffineria, si registrino coefficienti di mortalità superiori al 54% della media nazionale per i tumori allo stomaco nei maschi, e del 74% per i tumori del colon retto nelle donne. Capita anche che i lavoratori della stessa raffineria siano costretti a ricorrere ad uno studio privato per effettuare delle analisi, dacché controlli simili, la ASL, non ne effettua sul luogo di lavoro.
Per la cronaca, dai risultati delle analisi, pubblicati in data 31 Ottobre 2009, e riportati da nessun quotidiano nazionale, cito: “si rileva la presenza allarmante di arsenico nel sangue del venti per cento dei gelesi analizzati a campione” nessun timore comunque, procedo col citare un articolo in tema: “studiosi e politici discutono sull’attendibilità dei dati e sulla necessità di rifare gli esami”.
A Gela, come a Melilli, a Priolo, si continuerà a morire senza che né l’Italia né il mondo abbia rimorso quando si fermerà ad un distributore per fare benzina. L’economia deve andare avanti, questo è il prezzo, il prezzo della censura, perché il primo motore a scoppio, in pochi lo sanno, non utilizzava benzina, ma idrogeno.
La scoperta è del 1853, tutta italiana, e venne ripresa solo nel 1995; quando ci si accorse che qualcosa, nell’aria delle città, stava cambiando. Una novità vecchia di 142 anni, anni nei quali, chi ha censurato, avrà avuto certamente un motivo valido per farlo. Lungi dal mero oscurantismo.
Nel Mercato
“E’ un medicinale che può avere effetti indesiderati anche gravi”
Prima bastava dire “Attenzione, può avere effetti collaterali”. E si nota la differenza del messaggio che arriva allo spettatore. Quindi bisogna dirlo con leggerezza, quasi con allegria.
Le ragioni di questo cambiamento è facile intuirle, almeno quant’è facile comprendere il perché sui pacchetti di sigarette compaiano adesso scritte ammonitrici sulla pericolosità delle “bionde”. Una sentenza recente della giustizia americana ha condannato le case produttrici di sigarette marchiate come “light” o “mild” ad un rimborso di oltre 200 miliardi di dollari, perché il marchio in questione traeva in inganno il consumatore, vantando minore esposizione alle patologie connesse al fumo; tesi confutata e smentita.
Nel 1999 la Philip Morris, con un comunicato sul proprio sito internet, informava per la prima volta i suoi consumatori sul pericolo del fumo. A breve giro arriverà la prima sentenza anti-fumo, siamo sempre in America, è il 2000, quando la Philip Morris venne condannata ad un risarcimento di 20 milioni di dollari verso un fumatore malato di cancro; nel 2002 i milioni di dollari divennero 150 milioni, da versare agli eredi di una fumatrice di sigarette Light.
E quindi, ecco scomparire in Italia il marchio Light, sostituito da Gold, ed apparire le scritte tanto antipatiche ai fumatori. In Gran Bretagna addirittura fotografie shock. In Italia, in Inghilterra, non in tutti i paesi dove le sigarette vengono distribuite.
Solo nel 1989 divenne obbligatorio, sulle confezioni dei prodotti alimentari, indicare gli ingredienti. Ma non venne specificato in quale lingua indicarli, e così è ancora troppo facile trovare prodotti con incomprensibili elenchi in francese, inglese e chi più ne ha più ne metta. Recentemente anche il numero di calorie, e lo specchio dei valori nutrizionali, è stato imposto dover figurare nella confezione. Normative che, come per le sigarette, cambiano da stato a stato, facendosi qui meno stringenti, là più ferree come l’introduzione sul controllo della qualità, dei marchi IGP e DOP come la tutela del “Made in Italy”.
Ma se l’eternit, della cui pericolosità s’erano accorti anche gli studiosi della Germania nazista (tanto da proibirlo), è stato bandito in Italia solo nel 1990 (ancora miete vittime a distanza di 20anni) ed è a tutt’oggi utilizzato lecitamente come materiale edile in paesi come Russia e Cina; chiediamoci, se sapessimo, cosa succederebbe, come agiremmo?
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